Cecilia (da "I Promessi Sposi"di Alessandro Manzoni")
                                - traduzione libera in endecasillabi di Marco Candiani -

                                                                                                              
 

                Illustrazione di Alberto Schiavii

 

Scendeva dalla soglia d'uno di quegli usci, e veniva verso il convoglio, una donna, il cui aspetto annunciava una giovinezza avanzata, ma non trascorsa; e vi traspariva una bellezza velata e offuscata, ma non guasta, da una gran passione, e da un languor mortale: quella bellezza molle a un tempo e maestosa che brilla nel sangue lombardo. La sua andatura era affaticata, ma non cascante; gli occhi non davan lacrime, ma portavan segno d'averne sparse tante; c'era in quel dolore un non so che di pacato e di profondo, che attestava un'anima tutta consapevole e presente a sentirlo. Ma non era il solo suo aspetto che, tra tante miserie, la indicasse così particolarmente alla pietà, e ravvivasse per lei quel sentimento ormai stracco e ammortito ne' cuori. Portava essa in collo una bambina di forse nov'anni, morta; ma tutta ben accomodata, co' capelli divisi sulla fronte, con un vestito bianchissimo, come se quelle mani l'avessero adornata per una festa promessa da tanto tempo, e data per premio. Né la teneva a giacere, ma sorretta, a sedere su un braccio, col petto appoggiato al petto, come se fosse stata viva; se non che una manina bianca a guisa di cera spenzolava da una parte, con una certa inanimata gravezza, e il capo posava sull'omero della madre, con un abbandono più forte del sonno: della madre, ché, se anche la somiglianza de'volti non n'avesse fatto fede, l'avrebbe detto chiaramente quello de' due ch'esprimeva ancora un sentimento.
Un turpe monatto andò per levarle la bambina dalle braccia, con una specie però d'insolito rispetto, con un'esitazione involontaria. Ma quella, tirandosi indietro, senza però mostrare sdegno né disprezzo, «no!» disse: «non me la toccate per ora; devo metterla io su quel carro: prendete». Così dicendo, aprì una mano, fece vedere una borsa, e la lasciò cadere in quella che il monatto le tese. Poi continuò: «promettetemi di non levarle un filo d'intorno, né di lasciar che altri ardisca di farlo e di metterla sotto terra così».
Il monatto si mise una mano al petto; e poi, tutto premuroso, e quasi ossequioso, più per il nuovo sentimento da cui era come soggiogato, che per l'inaspettata ricompensa, s'affacendò a far un po' di posto sul carro per la morticina. La madre, dato a questa un bacio in fronte, la mise lì come su un letto, ce l'accomodò, le stese sopra un panno bianco, e disse l'ultime parole: «addio, Cecilia! riposa in pace! Stasera verremo anche noi, per restar sempre insieme. Prega intanto per noi; ch'io pregherò per te e per gli altri». Poi, voltatasi di nuovo al monatto, «voi», disse, «passando di qui verso sera, salirete a prendere anche me, e non me sola».
Così detto, rientrò in casa, e, un momento dopo, s'affacciò alla finestra, tenendo in collo un'altra bambina più piccola, viva, ma coi segni della morte in volto. Stette a contemplare quelle così indegne esequie della prima, finché il carro non si mosse, finché lo poté vedere; poi disparve. E che altro poté fare, se non posar sul letto l'unica che le rimaneva, e mettersele accanto per morire insieme? come il fiore già rigoglioso sullo stelo cade insieme col fiorellino ancora in boccio, al passar della falce che pareggia tutte l'erbe del prato.

 

Versione milanese Traduzione del testo milanese 

E da quell uss gh'è vegnuu innanz 'na sciora
ancamò bella, anca se velada
d'ona malinconia de bassora.
Bella debon, se pur come svojada,
inscì come hinn tucc bei in Lombardia
i nòster dònn che paren poesia.

In brascia la gh'aveva ona tosetta
in ordin, missa ben ma...l'era mòrta
compagn che in autunn moeur la fojetta
sòtt el boffà del vent che par ch'el pòrta
el piang de quella mamma disperada,
che in del stess temp la par nanca piegada.

L'andava vers el carr come sorada
e i sò bei oeucc cuntaven-sù el dolor
per quella tosettina ormai gelada
che l'era stada e l'era anmò el sò amor.
Se le tegneva al còll e le guardava,
la ghe parlava insemma, le ninnava.

Vun de quij trii monatt, quell men odios,
l'ha faa per toeugh di brasc el pòr tosin,
ma cont on cert comè de rispettos.
La s'è tirada indree e dal borsin
l'ha tiraa-foeura i franch de bonaman
per daghi a quell che già el slongava i man.

"Mettila sora el carr inscì 'me l'è,
lasségh adòss tuscòss, portii via nient...
Lee l'era tutt per mì, fémm on piesè."
Poeu ghe l'ha dada a quell cont el lament
d'on...: "Ciao, Cecilia...prest se védarèmm..."
E la gh'aveva i oeucc come dò gèmm!

Quell el s'è miss la man dessora el coeur
e, fòrs ciappaa anca lù de sentiment,
l'ha caregaa el tosin a malincoeur,
quasi con sudizion e malcontent.
La dònna la gh'ha dii: "Passii al tramont,
che mì e on queidun d'alter saremm pront."

Finii d'avè parlaa l'è andada in cà;
e dopo on quei moment con l'altra tosa
l'è andada a la finestra per guardà
quell carr e la partenza dolorosa.
L'altra tosetta l'ha mettuda in lett
compagn d'on fior de brascià-sù bell strett.

Pareven tucc e dò come duu fior:
on fiorellin de praa penna nassuu
e l'alter maduraa dent in l'amor.
La ranza de quel temp l'ha proveduu
a pareggiai per poeu mandai lassù
a viv l'eternità col bon Gesù.

E da quell'uscio si è fatta innanzi una donna
ancora bella, anche se velata
da una malinconia crepuscolare.
Bella davvero, se pur come svuotata,
così come sono tutte belle in Lombardia
le nostre donne che sembran poesia.

Tra le braccia aveva una bambina
in ordine, messa bene, ma..era morta
così come in autunno muore la fogliolina
sotto il soffiar del vento che sembra portare
il pianto di quella mamma disperata,
che nello stesso tempo non appare neppur piegata.

Andava verso il carro senza fiato
e i suoi begli occhi raccontavano il dolore
per quella bimbetta ormai fredda
che era stata ed era ancora il suo amore.
Se la teneva al collo e la guardava,
le parlava insieme, la cullava.

Uno di quei tre monatti, quello meno odioso,
ha cercato di toglierle dalle braccia la povera bambina,
ma con un certo nonsoché di rispettoso.
Lei si è tirata indietro e dal borsellino
ha tolto i soldi per la mancia
per darli a quello che già allungava le mani.

"Mettetela sopra il carro così com'è,
lasciatele su tutto, non portate via nulla...
Ella era tutto per me, fatemi un piacere."
Poi l'ha consegnata a quello con il lamento
di un...: "Ciao, Cecilia...presto ci rivedremo..."
E aveva gli occhi come due gemme!

Quello ha posato la mano sopra il cuore
e, forse preso anche lui dal sentimento,
ha caricato la bambina a malincuore,
quasi con soggezione, malcontento.
La donna gli ha detto: "Passate al tramonto,
che io e qualcun altro saremo pronti."

Dopo aver parlato è andata in casa;
e dopo qualche momento con l'altra figlia
è andata alla finestra per guardare
quel carro e la partenza dolorosa.
L'altra bimba l'ha messa a letto
come un fiore d'abbracciare ben stretto.

Sembravano due fiori:
un fiorellino di prato appena nato
e l'altro maturato nell'amore.
La falce senza cuore ha provveduto
a pareggiarli per mandarli lassù
a vivere l'eternità col buon Gesù.

Commento al testo originale (a cura di Guido Bezzola)

Celeberrimo episodio, pausa lirica nella descrizione della peste e, insieme, celebrazione della dignità e degli affetti umani pur nella peggiore delle morti. Nella madre di Cecilia avverti un'eco dell'amore di Ermengarda e del suo abbandonarsi al volere di Dio senza cedere, se non morendo, alla ferocia del mondo. Si noti la frequenza della ripetizione binaria degli aggettivi, cara al Manzoni che tanti esempi ne aveva trovato in Virgilio, e si noti insieme l'estrema intensità dei sentimenti che vivono e vibrano nella breve scena, passando dall'autore ai personaggi al lettore non distratto e non prevenuto, attraverso una notazione prosastica serrata e perfetta come una partitura musicale (i valori ritmici e musicali della prosa manzoniana sono costantemente altissimi anche se non sempre avvertibili a prima lettura). Non sappiamo nulla del'aspetto fisico della madre o della bimba (l'unica nota di colore è data da quel "vestito bianchissimo" da cui esce "una manina bianca a guisa di cera"): eppure poche presenze ci hanno colpito con maggior realtà.

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